
[EDITORIALE SFOGO VIDEOLUDICO] Vent’anni di Cave Story e l’evoluzione moderna verso il decadimento degli indie game
In questo articolo della rubrica “EDITORIALE SFOGO VIDEOLUDICO“, ci concentreremo su Cave Story e l’evoluzione del mondo indie nell’ultimo ventennio.
Vent’anni fa usciva il leggendario Cave Story (per la precisione il 20 dicembre 2004), uno dei primissimi titoli cosiddetti “indipendenti”, un videogame in pixel art realizzato da Daisuke Amaya, conosciuto sul web con lo pseudonimo di “Pixel”, in ben cinque anni di lavoro.
Inizialmente rilasciato su PC su Windows in giapponese, Cave Story fu in seguito tradotto e portato per macOS, Linux, PlayStation Portable, Xbox, Amiga OS, Sega Mega Drive e GP2X, fino ad arrivare alla sua prima versione a pagamento su Wiiware tramite il Wii Shop nel 2010.
Fu grazie alla versione Nintendo (e in buonissima parte anche con la release ufficiale su Steam con la versione Plus), che il titolo pubblicato da Nicalis, iniziò ad ingranare, fino a raggiungere un livello di popolarità veramente elevato (almeno per quel periodo), tanto da far nascere il concetto di “indie game” (assieme ad altri giochi del periodo), assieme ad altri “top” titoli indipendenti dell’epoca, tra i quali lo splendido Shovel Knight (e tutte le sue versioni ed espansioni), i meravigliosi Braid e Limbo, assieme anche al celebre Super Meat Boy.
Nonostante la popolarità, e la mole di mercato che si era aperta sempre più a piccoli sviluppatori da tutto il mondo, Cave Story cercò di farsi conoscere ancora una volta, riuscendo ad approdare anche su console più vicine alla generazione attuale, con la versione “Cave Story 3D” su Nintendo 3DS, e anche la versione Plus, rilasciata nel 2017 su Nintendo Switch.
Una volta introdotta la messa sul mercato di questo capolavoro, oltre a consigliarvi di recuperarlo assolutamente, spiegarvi il perché il mondo indipendente stia sprofondando sempre di più nella monotonia e nella scopiazzatura di concept ed idee (non come i tripla A ma in futuro si rischia di avvicinarsi molto rapidamente a quella deriva), vi introduciamo a cosa è Cave Story, e perché bisognerebbe giocarlo, anche dopo vent’anni dalla sua uscita originale.
Uno dei motivi più semplici che mi vengono in mente, è sicuramente il prezzo (15 euro), ma grazie a siti di Key e sconti, potreste trovarlo facilmente a 4-5 euro nemmeno, e come detto in precedenza, la reperibilità, Cave Story è stato pubblicato praticamente su ogni singola piattaforma esistente negli ultimi 10-15 anni, comprese le ultime console e PC. Non è solo questo però, Cave Story è rimasto impresso ai giocatori dei primi 2000 per la qualità di gameplay, trama e personaggi che metteva in campo.
Nonostante fosse una delle prime concezioni del genere “metroidvania” (sebbene emergeva molto di più la componente platforming, altri tempi ragazzi), ovvero l’unione di elementi di gameplay ripresi dalla serie di Metroid e quella di Castlevania, risultava essere veramente unico nel suo genere, semplice da scoprire, ma allo stesso tempo con un background di mondo veramente ben realizzato, tra NPC, Curly su tutti, fulcro anche del finale (dei finali), Boss (Balrog è ancora nella leggenda, anche grazie ai meme e i fan), le ambientazioni ma soprattutto i brani, tra i quali, il leggendario “On To Grasstown”, una delle prime zone accessibili all’interno del gioco, rimaste tra le più icone e riconoscibili dell’opera di Pixel.
Quel che ha fatto entrare nella leggenda più di tutti però, fu la trama, che da semplice inizialmente, Il protagonista si risveglia in una caverna sotterranea senza ricordare come è arrivato lì, arrivando per caso in un villaggio di creature antropomorfe simili a conigli chiamati Mimiga, si evolverà sempre di più, arrivando ad un culmine narrativo, il finale, che può cambiare in base alle scelte fatte (specie con Curly, una ragazza che si incontrerà nell’avventura che avrà bisogno di restaurare la sua memoria, che inizialmente sembrerà un normale NPC qualsiasi, ma che si rivelerà determinante se non addirittura, fondamentale nella vicenda, il finale e la lore.
Sarà anche possibile giocare nei panni di Curly, attraverso una modalità “segreta”, chiamata “Curly Story”, nella quale sarà possibile giocare l’avventura (modificata ed adattata con i testi per riflettere il carattere del personaggio rispetto al protagonista Quote. Per sbloccarla facilmente, vi basterà ottenere nel gioco originale, le mutandine di Curly, questo sarà possibile farlo in qualsiasi versione di Cave Story oltre all’originale, DSiWare e Cave Story 3D e le versioni Plus, anche su Nintendo Switch.
Ci sono tre possibili finali principali che possono essere ottenuti nella versione originale di Cave Story . Due finali che avranno i titoli di coda/crediti, mentre uno viene presentato solamente attraverso una finestra di dialogo (Non ve li sveleremo nel dettaglio per evitarvi spoiler nel caso vorreste recuperarli.
Sarà possibile ottenere tutti i finali in una singola sequenza senza dover iniziare una nuova partita ogni volta (vero Dark Souls?), poiché solo il finale “Buono” richiederà che più condizioni siano realmente soddisfatte, prima di arrivare alla parte finale del gioco, ottenendo così il finale “Buono” ma comunque avere la possibilità di eseguire i finali “Cattivo” e “Normale”, eseguendo azioni specifiche nei momenti cruciali del gioco.
Il gameplay, seppur non essendo puramente un Metroidvania (perlomeno per come vengono concepiti e recepiti oggi, grazie alle produzioni indie degli ultimi 5-6 anni), riprende degli elementi da Metroid, come ad esempio la possibilità di sparare a numerosi nemici all’interno di aree ristrette, esplorazione di mappe sconosciute e la presenza di numerosi mob e boss da sconfiggere per avanzare. Come detto in precedenza però, la componente platforming sarà quella più “incalzante” ed appagante dell’opera (come giusto che sia da una parte), mentre si dovranno eliminare i nemici (con le numerosi armi da fuoco, dalla semplice pistolina ad un arma in grado di lanciare palle di fuoco potenziabili), si dovrà infatti destreggiarsi in salti e discese, percorsi e porte nascoste, alle volte anche inaccessibili al momento, oltre che missioni assegnateci dai vari personaggi NPC, spesso determinanti per l’avanzare della trama.
Uno degli aspetti di Cave Story che si avvicina agli indie più moderni, è sicuramente la possibilità di essere rigiocato facilmente, Il titolo non è eccessivamente lungo, ne tende a diventare un’accozzaglia impossibile da giocare (un saluto al Pantheon di Hollow Knight), ma forse è uno dei pochi aspetti che si possono accumunare all’indie moderno. E ragazzi lo so, sarà la solita tiritera del “è ma prima i giochi erano meglio pensati e realizzati”, ma è la realtà e i fatti ci dicono esattamente questo. Il mercato degli indie, sebbene ancora lontano dalle dinamiche tossiche di pubblicazione, ambiente di lavoro al limite dello schiavismo verso team di sviluppo, tempi ristrettissimi di lavoro e crunch, prezzi insensati e scelte di gioco decisamente discutibili, si sta pericolosamente avvicinando ai Tripla A, e c’è il serio rischio che possa raggiungere il degrado tipico del gioco mainstream moderno.
L’esempio perfetto di questo discorso è Silksong, l’emblema di questo decadimento del mondo indie. Un gioco annunciato in pompa magna, con un trailer striminzito d’annuncio ormai di cinque anni fa, riportato in auge erroneamente per il rilascio lo scorso anno in una conferenza Microsoft, poi di nuovo caduto nell’oblio, il titolo del Team Cherry sta avendo dei seri problemi di sviluppo (anche se probabilmente non ne sapremo mai nulla, salvo dichiarazioni postume all’uscita, o eventuali cancellazioni). Il gioco è letteralmente sparito dalla faccia della terra, magari anche stato cancellato definitivamente chissà, diventando un meme serio nella community (quasi al pari dei rinvii di Enotria in concomitanza con altre uscite), probabilmente per una paura (direi anche legittima), se non addirittura il terrore, da parte degli sviluppatori, di annunciare ulteriori date di uscita, o semplicemente mostrare qualcosa troppo presto, per poi ritrovarsi schiere di fan tossici di Hollow Knight alle spalle, pronti ad azzannarli e insultarli (specie sui social cosa diventata ormai fin troppo comune ai più), una situazione decisamente spiacevole. Questo perché l’industria e la parte del problema che coinvolge lo sviluppo e la pubblicazione di titoli indipendenti, non è solamente da imputare ai team e ai publisher, ma bensì anche al pubblico pagante, i videogiocatori.
Il videogiocatore medio di oggi, è spesso impaziente, ignorante e non curante di ogni singola cosa che riguarda la realizzazione di un videogioco, diventata col tempo sempre più complessa (spesso anche eccedendo in dimensioni, vedasi anche gli open world giganti, ma senza un reale mordente), e per quanto si possano realizzare titoli più piccolini (gli indie stessi), si deve venire a patti, con un pubblico ormai abituato a valutare le produzioni (i giochi), dalle fattezze dell’opera, il classico “è ma se costa 59 euro mi deve durare 60 ore”, sbagliatissimo mi spiace. Un gioco non deve “MAI” (o quasi in pochissimi casi, specie quelli più creativi), essere valutato in base alla grandezza mera e stupida, come può essere un open world, al massimo si può valutarne il valore in termine ludico.Per intenderci, utilizziamo il recente esempio di Elden Ring: Shadow of Erdtree, l’espansione di From Software rilasciata nelle scorse settimane, ha infatti dimostrato al mondo come davvero si definisce il concetto di qualità-prezzo per un videogame, mettendo tutti in riga e in fila indiana (giocatori, sviluppatori, giornalisti e publisher), offrendo al pubblico un contenuto DLC (o meglio un’enorme espansione), che offre un numero di ore di esplorazione, boss e quest insensato, che nel mercato moderno dei publisher ossessionati dal guadagno facile (incredibilmente Bandai è da lodare per questa scelta), sarebbe potuto tranquillamente diventare un Elden Ring 2, utile per cavalcare ancora di più la gallina dalle uova d’oro, ricordiamo che si tratta del titolo di From Software più venduto della compagnia dalla sua nascita, con ben oltre 25 milioni di copie (aggiornato all’inizio 2024), non proprio spiccioli per capirci. E poteva tranquillamente esserlo ragazzi, nessuno si sarebbe minimamente lamentato se Shadow of the Eldtree fosse stato venduto come gioco separato dall’Elden Ring originale, se non addirittura essere venduto come un vero e proprio “sequel”, che narrava le vicende di Miquella e suoi passi per riuscire a liberarsi dell’essere aureo, per elevarsi ad un Dio nuovo più “compassionevole”(specialmente rispetto alla madre Marika, un personaggio raccontato come un mostro e odiato nell’Albero Ombra, anche dal suo stesso figlio Messmer), ma non è stato fatto. Questo perché le vicende dell’Albero Ombra narrate nell’espansione, riguardando e completano l’opera originale (sebbene con qualche piccola pecca per il finale ma vabbè), e farne una versione staccata e castrata, (specie visto il rush e il cut-content evidente nello sviluppo dell’originale Elden Ring durante il periodo COVID), sarebbe stata una scelta pessima dal punto di vista creativo, e ripeto, tanti l’avrebbero fatto con una naturalezza quasi non umana, in barba all’autorialità e cosa si vuole veramente lasciare al videogiocatore con un titolo single player ben realizzato, dopo averlo giocato.
Ed è qua che casca il pero, cosa rende un titolo indimenticabile (indipendente o meno che sia) rispetto alla massa? Beh è una risposta secondo me molto semplice (almeno per quanto mi riguarda), ciò che differenzia un titolo memorabile da uno dimenticabile, è sicuramente quanto l’opera riesce a coinvolgerti e farti entrare nel suo universo, per poi una volta usciti da li, riuscire a sentirla propria, rivederne i passaggi più cruciali e determinanti, spesso esaltanti ma commoventi, riascoltare i brani, immaginarsi i paesaggi, luoghi e le ambientazioni, pensare alle emozioni e l’avventura vissuta assieme al proprio protagonista e i suoi compagni di viaggio.
Questo è ciò che dovrebbe (per come il gioco è stato sempre concepito dagli albori del primissimo The Legend of Zelda, Dragon Quest e/o Final Fantasy, sebbene fossero in pixel art, riuscivano a farti immaginare tutto, cosa che non tutti i giochi ed indie moderni riescono a fare, cosa che però è riuscita decisamente bene a Pixel con Cave Story.
Ciò non riesce ai titoli moderni, che puntano solamente agli aspetti più superficiali dei videogame, come l’appagamento immediato al giocatore, che se non entra immediatamente nelle meccaniche di gioco (multiplayer o single player che sia), accanna subito il gioco, rischiando anche di non spendere soldi, nel caso dei free-to-play specialmente. Il videogame è divertimento, lo è dagli albori, ma la cosa si è anche un pochettino evoluta per diamine, si può pretendere di più, e bisognerebbe farlo (parlo ai videogiocatori), e non accontentarsi di tutto (per poi lamentarsi di una skin in un gioco, invece che per i problemi reali dello stesso), cercando di migliorare un sistema videoludico, che ormai puzza di stantio.
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