
[EDITORIALE SFOGO VIDEOLUDICO] Non ci piace più videogiocare? lo facciamo solo con i multiplayer e solo trascinati dagli amici? O forse è solo poca cultura videoludica?
In questo articolo della rubrica “EDITORIALE SFOGO VIDEOLUDICO“, ci concentreremo sull’attuale situazione videoludica.
Analizzare i videogame non è mai stato un compito facile, nemmeno quando erano solo una manciata di pixel in croce, realizzati e spesso con personaggi con fattezze incomprensibili, ma che con una buona dose di fantasia, riuscivano ad intrattenere i bambini e i ragazzi dell’epoca.
Pur non essendo facile però, si è arrivati ad una consapevolezza decisamente superiore, rispetto agli anni 80 e 90, derivante anni di esperienza trentennale nel settore (non interna ma come videogiocatori). Videogiocare è un impegno, una passione ma allo stesso tempo anche un’arte (alla faccia di chi non lo pensava ai tempi, denigrandoli a giochini per bimbi). Ciò però tanti sviluppatori/publisher odierni, vuoi per ragioni economiche e di guadagno, tendono spesso a dimenticare (non sempre in realtà, sto generalizzando un po), ma buona parte delle volte è così fidatevi.
L’arte videoludica è, dal post-COVID in poi (più o meno guardando come si è evoluta la società), quasi nello stato di coma irreversibile. I videogiochi ormai sono succubi sempre di più dell’evoluzione del mercato, di un pubblico, ovvero i videogiocatori, sempre meno attenti a scegliere cosa giocare, per crearsi un gusto videoludico ottimale (avviene anche in altri contesti della vita), e non il seguire cosa gioca l’amico/gli amici, solo perché ci gioca lui/loro, anche se non ci piace o è un prodotto scadente, solo ed esclusivamente per non essere tagliati fuori dal giro delle amicizie. Per carità il passaparola è sempre stato efficace nel mondo dei videogiochi, ci son state innumerevoli occasioni in cui titoli sono esplosi in passato grazie al consiglio di un amico, che poi lo consigliava ad un altro e così via, ma ragazzi, c’era molta più consapevolezza di cosa si stesse giocando, valutando cosa evitare come la peste, e non vi parlo chiaramente a 3-8 anni, dove si giocava di tutto quello che ci veniva comprato dai nostri genitori, ma di un periodo successivo formativo a quell’età.
Sembrerà il solito discorso da vecchi, quello del “era meglio quando si stava peggio”, ma in realtà per certe cose è davvero così, specie se si parla di questo degrado, derivante anche l’unione tra trending social e videogame. Tik Tok è sicuramente uno tra i principali indiziati di questo fenomeno di usa e getta compulsivo, e dalla mancata capacità di concentrazione da parte dei giovanissimi (ma in buona parte anche di adulti), che sta portando anche il mondo videoludico, in un tunnel di giochi sempre più mediocri e spesso anche fuori dal tempo presente, vedasi ad esempio Concord, un gioco creato 7-8 anni fa, nato morto, sviluppato, ideato e pensato quando ancora gli hero shooter ed Overwatch (2), erano sulla cresta dell’onda, cosa che ormai non sono più, anche da parecchio tempo ormai.
L’esperienza videoludica si è infatti frammentata da segmenti di persone con un gusto ed una dedizione videoludica, completamente differente, che chi come noi (parlo con te che hai più di 30 anni, ed hai vissuto l’epoca d’oro dei videogame degli anni 80-90, e no non è solo nostalgia mi spiace), capaci di godersi appieno un single player, con tutto ciò che ne può derivare ed offrire, ovvero una trama coinvolgente e scritta dignitosamente (vero Cinematic universe?), con dei personaggi ben realizzati e con un gameplay degno (non basilare come in Hogwarts Legacy per intenderci), che spesso ci mette di fronte, anche a sfide sopra la media del periodo storico di riferimento, esempio su tutti il DLC “Shadow the Erdtree” di Elden Ring (si sono ripetitivo lo so), ma anche il recente Black Myth: Wukong, che pur non essendo così complesso come l’espansione di From, sta tenendo occupati milioni di giocatori con una sfida elevata, ma comunque alla portata di chi ha voglia di mettersi alla prova.
Dall’altra parte però c’è una categoria, ormai sempre più preponderante, di videogiocatori occasionali, casuali e poco attenti a ciò chi gira intorno (spesso totalmente ignoranti del passato videoludico), quasi facendo rimpiangere (lo dico col cuore aperto ferito e dilaniato da una freccia di Skyrim), i casual player che compravano Wii, SOLO ED ESCLUSIVAMENTE per giocare a Wii Sport, Wii Play e Wii Party. Sfortunatamente non sono i cosiddetti “boomer” il problema, almeno non come lo erano nell’epoca Wii, ma bensì una grossa fetta di pubblico, che spazia spesso dai 8-19 anni, con alcune fette che vanno dai 40-55 (l’epoca della senilità e complottismi Tiktokiani per capirci).
Questi videogiocatori (nel caso lo siano veramente intendiamoci), stanno seriamente mettendo in crisi il mercato odierno, offrendo involontariamente un pessimo feedback alle aziende videoludiche (e di conseguenza agli investitori delle stesse, che per chi non fosse avvezzo, hanno una grossa importanza sull’andamento di una qualsiasi azienda), già confuse di loro, ma che vengono condizionate seriamente dal cambio di trend repentino, che scatta ogni qualvolta qualche videogame diventa decisamente virale sulla piattaforma cinese. Lo sviluppatore medio tipico ormai (togliendo Nintendo, poche altre e il mondo indie), tende a cercare di imitare al massimo qualcosa che diventa virale su Tik Tok. Basti pensare agli innumerevoli cloni dei giochi col mostro pisello cancerogeni alla Outlast/FNAF che sono usciti e diventati famosi nell’ultimo anno e mezzo, come ad esempio robe come Skibidi Toilet, Poppy Playtime e Content Warning, con quest’ultimo che seppur anche carino, è completamente sparito dai riflettori due settimane dopo il boom, totalmente dimenticato dai social, come si fa con dei giocattoli vecchi quando diventi adulto, credo sia la metafora più calzante, sebbene con delle tempistiche decisamente più repentine.
Questo comporta un ciclo infinito di trend (nel nostro caso giochi), che vanno virali ma che vengono dimenticati nel giro di pochissimo tempo (ergo i classici cinque minuti di notorietà, che possono durare sulla settimana o due), tutto ciò misto ed unito alla compulsività di cambiare sempre senza sosta ne cura nel farlo, cercando il nuovo trend del momento, e nel caso delle aziende, cercare di guadagnarne il più possibile, ma ragazzi questo non è possibile farlo quando si crea un gioco in maniera seria.
Lo sviluppo di videogame non è passeggiata di salute, non è la classica scampagnata fatta in montagna d’estate che fai a tempo perso, ma è un lavoro impegnativo enorme (quasi sempre di gruppo e unione d’intenti) di innumerevoli persone, che si chiudono e riuniscono assieme per mesi (se non addirittura per anni alle volte), mettendo assieme delle idee, concept, competenze ed impegno, nel realizzare un qualcosa, che si è stato studiato a tavolino per “ingraziarsi i videogiocatori”, offrendogli divertimento ed intrattenimento, ma bensì pensato anche per lasciargli qualcosa che si ricorderanno in futuro, che gli farà dire, cazzarola non ho buttato il mio tempo giocando al solito gioco demmerda, senza avere un qualcosa in cambio, che non sia una skin di Fortnite o un jumpscare del cazzo.
Questo è per me godersi un gioco, prendersi il proprio tempo per giocarlo (svilupparlo nel caso tu sia un developer in carriera), entrare in sintonia con esso, cercando di capirlo e comprendere cosa gli sviluppatori volevano farci intendere e scoprire, magari con una trama ben realizzata, un bel colpo di scena, segreti ed easter egg ben nascosti ma raggiungibili (con un occhiolino fatto dai devs), e perché no, anche con un gameplay degno di nota, che magari riesce a contraddistinguersi da una massa di giochi sempre più uguali tra di loro, realizzati solo ed esclusivamente per mode, spesso anche già passate.
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